Giuseppe Ungaretti, Gridasti: soffoco

Giuseppe Ungaretti

Gridasti: soffoco

Non potevi dormire, non dormivi...
Gridasti: Soffoco...
Nel viso tuo scomparso già nel teschio,
gli occhi, che erano ancora luminosi
solo un attimo fa,
gli occhi si dilatarono... si persero...
sempre ero stato timido,
ribelle, torbido; ma puro, libero,
felice rinascevo nel tuo sguardo...
Poi la bocca, la bocca
che una volta pareva, lungo i giorni,
lampo di grazia e gioia,
la bocca si contorse in lotta muta...
Un bimbo è morto...

Nove anni, chiuso cerchio,
nove anni cui né giorni, né minuti
mai più s'aggiungeranno:
in essi s'alimenta
l'unico fuoco della mia speranza.
Posso cercarti, posso ritrovarti,
posso andare, continuamente vado
a rivederti crescere
da un punto all'altro
dei tuoi nove anni.
Io di continuo posso,
distintamente posso
sentirti le tue mani nelle mie mani:
le mani tue di pargolo
che afferrano le mie senza conoscerle;
le tue mani che si fanno sensibili,
sempre più consapevoli
abbandonandosi nelle mie mani;
le tue mani che diventano secche
e, sole - pallidissime -
sole nell'ombra sostano...
La settimana scorsa eri fiorente...

Ti vado a prendere il vestito a casa,
poi nella cassa ti verranno a chiudere
per sempre. No, per sempre
sei animo della mia anima, e la liberi.
Ora meglio la liberi
che non sapesse il tuo sorriso vivo:
provala ancora, accrescile la forza,
se vuoi - sino a te, caro! - che m'innalzi
dove il vivere è calma, è senza morte.

Sconto, sopravvivendoti, l'orrore
degli anni che t'usurpo,
e che ai tuoi anni aggiungo,
demente di rimorso,
come se, ancora tra di noi mortale,
tu continuassi a crescere;
ma cresce solo, vuota,
la mia vecchiaia odiosa...

Come ora, era di notte,
E mi davi la mano, fine mano...
Spaventato tra me e me m'ascoltavo:
E' troppo azzurro questo cielo australe,
troppi astri lo gremiscono,
troppi e, per noi, non uno familiare...

(Cielo sordido, che scende senza un soffio,
sordo che udrò continuamente opprimere
Mani tese a scansarlo)


Ungaretti non volle pubblicare subito questa poesia, dedicata al figlio Antonello, morto alla prematura età di 9 anni. Il dolore vissuto l'aveva interiorizzato a tal punto da non poter che scrivere (sembra quasi di getto) una poesia così intensa, passionale, disperata. L'amore spezzato di un padre verso il figlio, il virgulto fiorito che è appassito troppo presto. Eppure, il poeta Ungaretti sembra quasi tentare, in una disperata lotta, di trasfigurare il dolore, ricercando in esso la speranza della presenza. Ungaretti si ribella quasi alla morte pronunciando i versi così appassionati e lancinanti "Ti vado a prendere il vestito a casa, / poi nella cassa ti verranno a chiudere / per sempre. No, per sempre / sei animo della mia anima, e la liberi". Quel "per sempre. No, per sempre" è uno dei versi più umani, più violenti dell'intera poesia mondiale. In quel verso, si esprime la grande guerra che l'uomo ha tentato di instaurare con il destino ineluttabile della morte: la ribellione di una speranza invincibile, anche quando la morte si manifesta spietatamente. La separazione che essa semina sembra non voler precludere la speranza della presenza, di una presenza liberatoria che è l'amore. Anche di fronte la morte, anche di fronte la sofferenza, persiste la forza dell'amore che libera il poeta dalle catene del tempo, per sfidare il destino.

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