Ungaretti, poeta della rivelazione



C'è un capitolo fondamentale da conoscere per comprendere pienamente le poesie di Ungaretti: è la sua poetica. Di Ungaretti si è detto spesso che ha rivoluzionato il verso della poesia italiana, che con il sua incisività ha proposto soluzioni brillanti, che la sua poesia è stata profondamente segnata dall'orrore della guerra. Ma si dimentica spesso che il fulcro dell'intera sua poetica è dato da una profonda gioia, da un desiderio vitale di bellezza, da una mistica salmodiante e musicale. 
La semplicità poetica di Ungaretti non fu mai un mero capovolgere la tecnica a scopo rivoluzionario, ma nacque da una forte esigenza dello spirito del poeta. La poesia secondo Ungaretti è rivelazione: questo significa che la poesia ha direttamente a che fare con il mistero della vita e dell'esistenza umana e che quindi possiede una funzione sacrale e mistica. Il poeta afferma infatti: "estrema aspirazione della poesia è di compiere il miracolo nelle parole, d'un mondo risuscitato nella sua purezza originaria e splendido di felicità. Toccano quasi qualche volta le parole, nelle ore somme dei sommi poeti, quella bellezza perfetta ch'era l'idea divina dell'uomo e del mondo nell'atto d'amore in cui vennero creati".
La poesia riesce a compiere il miracolo della creazione o - meglio ancora - della risurrezione. La bellezza di un paesaggio, di un'istante oramai passato è sempre nuova allo sguardo del poeta. Il poeta addirittura parla di una "bellezza perfetta ch'era l'idea divina dell'uomo e del mondo nell'atto d'amore in cui vennero creati", una bellezza primordiale, sorgiva, aurorale che affonda le sue radici in una folgorazione d'amore con cui esplose dal nulla la realtà del nostro esistere, quasi un Bing Bang mistico le cui vibrazioni continuano a risuonare nel profondo di ognuno di noi. L'artista è colui che vive di queste vibrazioni e partecipa di quel pathos primordiale con cui si rivela nella sua incantevole maestosità l'esistenza. Il genio dell'arte, il suo demone, la sua divina ispirazione, è l'Innocenza, è lo svelarsi stesso della bellezza. Ed il canto è la sua espressione artistica, è il movimento stesso dello spirito che prende forma nei fremiti dei colori, nella vivida chiarezza e nettezza di immagini, nella sonorità delle note, nei silenzi delle poesie, nella plasticità delle sculture. Misticamente parlando, la bellezza dell'arte è "il Verbo che si fa carne".
Ed è da questa consapevolezza che Ungaretti concepisce l'intera sua poetica. Solo così si possono comprendere le sue poesie: si è detto spesso che i suoi componimenti, sebbene carichi di umanità, siano troppo scarni, ridotti all'osso, dove in fondo quel che si cerca è solamente una rottura a tutti i costi con la metrica tradizionale. In realtà, ridurre la poesia di Ungaretti a questo essenzialismo stilistico significa ignorare del tutto la poetica di quest'autore e non partire dal dato esistenziale che inficerà fortemente la sua intera produzione artistica. Bisogna innanzitutto comprendere che egli è il primo poeta dell'età moderna che torna a considera nuovamente la poesia come un vero e proprio "effondersi nel mistero dell'essere", quasi "un inno di abbandono a Dio", un'accettazione totale, un abbraccio al mistero inesauribile dell'esistenza. La sua poesia nasceva dal desiderio di accordare il proprio occhio al canto del cuore: egli voleva tornare ad una poesia che fosse, alla maniera della prima poesia italiana, il Cantico delle Creature, espressione viva di meraviglia di fronte al mistero del reale.
"Era il battito del mio cuore che volevo sentire in armonia con il battito del cuore dei miei maggiori di una terra disperatamente amata", afferma a tal proposito e ricorda come "le parole nascevano allora da un movimento musicale dello spirito e non s'adattavano, come verrà poi fatto, a schemi ritmici. La musica raggiungeva allora un tale grado di intensità che aveva finalmente bisogno di formarsi, di rivelarsi in parole. Questo è il movimento dell'essere, e per questo le parole di quei poeti hanno quella loro improvvisa manifestazione, ma pure in noi così fermamente preannunciata, e ci sorprendono come una rivelazione, sebbene da tutto il segreto del nostro essere preparati e disposti a riceverle. Anima e corpo erano in quell'onda del canto così impegnati e compromessi e rapiti che il tema non aveva bisogno d'essere cercato; era presente, era necessario, scoppiava con sicurezza improrogabile, Noi poeti moderni abbiamo molto da imparare da questi poeti maggiori. Abbiamo da imparare ad usare le parole-luce come le usavano, abbiamo da imparare che la poesia è fatta di parole-luce, voglio dire di parole che entrano in noi senza tante chiacchiere e ragionamenti, oserei dire per un effetto di miracolo, e fanno in noi la luce e ci mutano".
Egli per giunta non esita, nei suoi scritti di critico letterario, a ricordare come dal Medioevo in poi si era appunto avuto, con il Petrarca in primis, quasi un dissidio tra la memoria, ossia la propria condizione esistenziale inquadrata nella dimensione spaziale-temporale, e l'innocenza, intesa artisticamente come energia creatrice, fantasia del sentire che traspare nel canto della poesia. Scrisse Ungaretti a tal proposito: "C'è stato un tempo nel quale i poeti, come tutti i loro contemporanei, non solo credevano nel soprannaturale, ma sapevano esattamente com'era fatto e potevano facilmente rappresentarlo. La forma primordiale della poesia (non insegno nulla) è un inno di abbandono in Dio. A popco a poco nasce il sospetto che quel soprannatuale non sia che immagine della natura. Mettiamo che il sospetto sia nato col Petrarca. Da quel momento non s'è pensato che Dio si facesse natura perché l'uomo, a suo agio, lo potesse interpretare. La poesia cessò di essere verbo del Signore. Ogni oggetto tornò a prendere, insieme all'uomo, il suo carattere di creatura, e la divinità, allontanatasi, tornò ad essere l'inconoscibile. Apparizioni della memoria venivano in luce dalla natura contemplata, e la poesia si esauriva in un gioco di riflessi. L'uomo era chiuso nella sua profondità, la memoria. Il ritorno della mitologia pagana non è soltanto la conseguenza d'un movimento di cultura. Assetati di bellezza e venerandola, i poeti cercavano di manifestare la loro religiosità senza speranza. Percepivano nell'uomo, come in ogni opera del Creatore, quella religiosità, che realmente spira da ogni cosa. Nell'Olimpo, i simboli della creazione, portati al grado della bellezza, erano già pronti. E si saccheggiò l'Olimpo. L'uomo aveva ridotto la poesia a distrarlo da suo stato". 
Si era, quindi, d'un tratto pensato che l'innocenza non poteva più appartenere che al passato e unico compito della poesia era riecheggiare le tristi note di una felicità perduta oramai per sempre: è la tragedia della morte di Laura. Una poesia che con il passare del tempo continuava ad evolversi tecnicamente e che appariva sempre più elaborata, ma che aveva dimenticato o posto in secondo piano il suo genio, il suo demone ispiratore. Era la poesia della sola memoria, la poesia che talvolta esaltava pedissequamente e sterilmente le rovine del passato e, strano a dirsi, ma vero, sarà proprio dalle rovine di un mondo completamente devastato che sboccerà la poesia di Ungaretti. E' in una trincea che Ungaretti comincia a scrivere poesie, è l'esperienza della morte e del dolore, la constatazione sensibile della condizione esistenziale che assilla l'uomo, della tragedia che lo forgia che lo condurrà ad una risposta al suo interrogarsi continuo.
Ungaretti, con la sua esperienza di uomo e poeta, è il cantore di questo mondo in rovina, è il portavoce del dramma umano, ma al contempo e soprattutto è il bambino che sulle macerie ha ancora il coraggio di cantare stupito di fronte l'immensità del reale, è l'uomo che torna a guardare meravigliato il cielo stellato dopo che l'ideologia del positivismo aveva negato il mistero. La sua poesia vive d'inquietudine e speranza, memoria ed innocenza. Ungaretti è l'Agostino in cerca della verità del XX secolo, è l'homo viator in cerca del senso, del significato, della presenza. E' colui che da questa ricerca torna a vivere la poesia come epifania di verità e bellezza, come liberazione: egli è il poeta della folgorazione, del disvelamento, della rivelazione. 

Commenti

Post più popolari